Michela Murgia è una scrittrice, drammaturga, critica letteraria e blogger orgogliosamente sarda. Oltre alle sue opere, è conosciuta per essere una fervente attivista di femminismo e antifascismo.
Recentemente, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera per presentare il suo ultimo libro intitolato “Tre ciotole”, la Murgia ha dichiarato di avere un tumore al rene al quarto stadio. Il romanzo, infatti, si apre con la diagnosi di un male incurabile, e lei rivela che è proprio quello che sta vivendo:
“Dal quarto stadio non si torna indietro […] Le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello”
Come il personaggio del suo libro, la scrittrice non vuol sentir parlare di “lotta” contro il male: l’autrice, infatti, spiega che la sua malattia è avanzata e l’obiettivo delle terapie che segue non è quello di sradicarla ma di guadagnare del tempo. Inoltre aggiunge la sua personale visione:
“Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Me l’ha spiegato bene il medico che mi segue, un genio. Gli organismi monocellulari non hanno neoplasie; ma non scrivono romanzi, non imparano le lingue, non studiano il coreano. Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l’alieno”
e continua
“La guerra presuppone sconfitti e vincitori; io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente”
L’intervistatore le chiede se non trova ingiusta la morte, ma Michela Murgia sottolinea che in cinquant’anni è come se avesse vissuto dieci vite e che ha dei ricordi preziosi. Già in passato, inoltre, ha affrontato un tumore al polmone: l’autrice racconta di essersene accorta in uno stadio precoce e di essersi curata in tempo, ma di non averlo rivelato in quanto ai tempi era in campagna elettorale e non voleva rivelarsi fragile.
Infine, la Murgia confessa:
“Il dolore non si può cancellare; il trauma sì. Si può gestire. Hai bisogno di tempo per abituare te stessa e le persone a te vicine al transito. Un tempo per pensare come salutare chi ami, e come vorresti che ti salutasse. Io non sono sola. Ho dieci persone. La mia queer family”
Alla domanda su cosa intenda per “queer family, Michela risponde che si tratta di “un nucleo familiare atipico, in cui le relazioni contano più dei ruoli” ; ha comprato casa, con dieci posti letto, dove stare tutti insieme. E aggiunge che presto si sposerà perché lo Stato richiede un nome che prenda delle decisioni legali e chi le vuole bene saprà cosa fare alla fine della sua vita.
Qui potrete trovare l’intervista completa: Michela Murgia: «Ho un tumore al quarto stadio, spero di morire quando Meloni non sarà più premier»- Corriere.it
Noi di Anapaca auguriamo a Michela di vivere il tempo che le resta circondata dalla sua famiglia speciale, che si prenderà cura di lei e la farà sentire amata fino al giorno in cui lascerà questa vita, la sua vita piena e ricca di ricordi indelebili.