E’ da giovani che si “decide” se più avanti avremo problemi al cuore. Scegliendo se fumare o no, se fare attività fisica o no, se tenere basso il colesterolo o no. Parla Attilio Maseri, uno dei padri della cardiologia italiana. Letizia Gabaglio, L’Espresso.it, febbraio 2011
Il sale, professor Maseri: cosa facciamo col sale? Attilio Maseri è uno dei padri della cardiologia italiana. A 75 anni, dopo aver curato la classe dirigente del Paese e persino un paio di papi, è in pensione, si occupa di ricerca.
E non ha certo paura di andare controcorrente. Se volete salvarvi il cuore, dice, attenti a non farvi abbindolare dalle industrie. E qui torna in ballo il sale, ecco come.
Come si fa davvero la prevenzione della malattie cardiovascolari?
“Agendo sugli stili di vita riduciamo il rischio cardiovascolare a costo zero, senza gli effetti collaterali dei farmaci, e miglioriamo la qualità di vita. Se una persona sta bene deve mangiare in maniera equilibrata e fare dell’attività fisica.
Chi, invece, soffre di scompenso cardiaco o di ipertensione deve anche limitare il consumo di sodio. Oltre all’alimentazione – che deve essere improntata alla dieta mediterranea con un giusto apporto di sale – dobbiamo puntare sull’attività fisica.
E dobbiamo lavorare soprattutto fra i giovani. Se si abituano a vivere bene fin da ragazzi quando arriveranno a 40-50 anni non dovranno ricorrere a farmaci per abbassare pressione o colesterolo”.
I fattori di rischio principali per lo sviluppo delle malattie cardiovascolari sono conosciuti. Eppure di infarto si muore ancora molto. Perché?
“Il problema è che per patologie così comuni come lo scompenso cardiaco o le malattie delle coronarie le cause sono molte e diverse. E i fattori di rischio noti sono solo quelli principali.
Grazie a studi di popolazione, come il Framingham che ha monitorato l’intera popolazione di una cittadina statunitense a partire dagli anni Cinquanta, sappiamo che quelli che fumano e che hanno livelli di colesterolo e pressione alti hanno maggiore probabilità di sviluppare malattia cardiovascolare.
In generale sappiamo che un paziente in cui coesistano tutti i fattori di rischio ha il 30 per cento di probabilità di avere un infarto nell’arco di dieci anni e, allo stesso tempo, abbiamo le prove che se il paziente smette di fumare e abbassa il colesterolo e la pressione può ridurre al 15 per cento le sue probabilità di avere un infarto in dieci anni.
Purtroppo, oltre questa percentuale non riiusciamo a scendere.
Come mai?
“Non lo sappiamo. Ma di certo gli studi clinici che si conducono oggi non ci aiutano a capirlo”.
Studi inutili?
“Studi clinici che reclutano migliaia di persone con criteri troppo ampi per ottenere risultati significativi. Se pensiamo, ad esempio, che il fattore di rischio più importante nel caso dell’infarto è l’età, allora capiamo che non ha senso valutare il peso dei fattori di rischio senza specificare di quale gruppo di età si sta parlando.
Invece, la strategia seguita negli ultimi decenni dai grandi studi è stata quella di cercare una soluzione di cui potesse beneficiare il più ampio spettro possibile di pazienti, perché questo coincide con la fetta più ampia possibile di mercato”.
Può essere più specifico?
“Nei grandi studi si mettono insieme centinaia di migliaia di pazienti di tipo molto diverso – chi avuto un infarto grave, chi ha avuto solo angina, chi ha solo fattori di rischio – per vedere se in media si verifichi una riduzione del numero di infarti o altri eventi cardiovascolari, per esempio nel corso di cinque anni.
I costi sono molto elevati, ma se per caso lo studio dà dei risultati positivi, il ritorno è altrettanto alto, perché un grandissimo numero di persone penserà di poter trarre beneficio da questo o quel farmaco capace di tenere sotto controllo il parametro che si è osservato”.
Insomma, si arruolano migliaia di pazienti per vedere se un farmaco che tiene sotto controllo uno dei fattori noti può andare bene per una popolazione vastissima. Ma così facendo non si scopre nulla di nuovo. Tuttavia, se quella dei grandi numeri non è la strada giusta, cosa si deve fare?
“Partire dalle code”.
Le code?
“Sì, i casi che deviano dal comportamento atteso. Con la Fondazione Tuo Cuore Onlus abbiamo cominciato a chiederci perché ci sono persone che hanno fattori di rischio importanti eppure campano fino a 90 anni. Oppure perché ci sono persone che si ammalano anche se non fumano e non hanno la pressione alta”.
Già, perché?
“Studieremo questi casi con il microscopio più potente che abbiamo: l’epigenetica, lo studio dell’interazione complessa fra i geni, le proteine e l’ambiente. Purtroppo chi credeva di risolvere tutto studiando i fattori genetici si è dovuto ricredere.
Oggi sappiamo che lo studio dei geni non è sufficiente a spiegare le diverse forme delle malattie, dobbiamo muoverci su un ordine di complessità maggiore. Per questo la Fondazione ha deciso di raccogliere i casi anomali sfruttando la rete cardiologica italiana”.
Presi i casi anomali, cosa andrete a cercare?
“Il primo lavoro, che sta partendo in queste settimane, studierà la relazione che c’è fra fattori di rischio noti, aterosclerosi delle coronarie e infarto.
Finora, l’esigenza di trovare spiegazioni semplici a problemi complessi ha fatto sì che la catena causale fra questi tre elementi sia stata data per scontata.
Ma il fatto che esistano persone che hanno una grave aterosclerosi, anche senza avere fattori di rischio, o pazienti che hanno una grave aterosclerosi, ma non hanno mai avuto un infarto, sta lì a dimostrarci che non è così.
La catena causale va analizzata pezzo per pezzo: studieremo da una parte casi con coronarie nella norma, ma con fattori di rischio elevati e dall’altra casi con coronarie disastrate senza evidenti fattori di rischio e vedremo come in questi due gruppi gli eventi si sviluppano nel tempo.
Dall’analisi di queste anomalie speriamo di trovare indicazioni sui meccanismi che proteggono o, al contrario, espongono l’organismo all’evento cardiovascolare. Studiare le code serve a identificare nuovi bersagli e sviluppare nuove armi”.