Un incontro con lo scrittore americano scomparso nel 2007 a pochi giorni dall’uscita del suo ultimo romanzo, dove ha raccontato i primi diciassette anni di vita di Hitler, Norman Mailer ha dedicato il suo ultimo romanzo all’adolescenza di Hitler, visto come il diavolo. John Freeman La Stampa.it
C’è stato un tempo in cui Norman Mailer parlava molto frequentemente del Grande Libro. L’argomento era sfuggente come Moby Dick per il capitano Achab: si faceva vedere in acque periferiche nelle interviste degli anni Cinquanta, ricompariva in superficie e poi spariva in acque profonde e oscure, dalle quali tornava a fare capolino solo all’avvicinarsi della data di pubblicazione di un nuovo libro.
Passavano gli anni, e ad ogni romanzo, da Un sogno americano a Il canto del boia, sembrava che finalmente Mailer sarebbe riuscito a trascinare la sua preda a riva.
Joan Didion sostiene che Mailer ce l’ha fatta a catturare il suo grande trofeo, addirittura quattro volte, secondo quanto ha scritto sulla New York Review of Books, ma il grande leone non ne sembra davvero convinto. A ottantaquattro anni, il più «pugilistico» degli scrittori americani ha cominciato a fare qualcosa di stravagante: dire che probabilmente non ce la farà mai.
«Posso aver detto qualcosa, cinquant’anni fa, sul tipo di libro che avrei scritto» dice Mailer nella sua casa di Provincetown, nel Massachusetts, villaggio di pescatori sulla punta estrema di Cape Cod oggi diventato una frequentata meta turistica. «Ma non ho alcuna intenzione di star dietro a quelle promesse».
La cosa davvero curiosa è che Norman Mailer pronuncia questa frase pochi giorni prima della pubblicazione del suo trentaseiesimo libro, Il castello nella foresta, un romanzo temerario che racconta i primi diciassette anni della vita di Hitler attraverso gli occhi di D. T., l’assistente del diavolo in persona.
Mailer ha lavorato a questo libro abbastanza a lungo da non ricordare più il momento esatto dell’inizio. Nel frattempo le sue ginocchia hanno cominciato a cedere, e ormai è costretto a camminare con l’aiuto di due bastoni. Durante l’intervista rimane seduto per tutto il tempo.Mailer ha scritto un libro decisamente dirty, sporco, che tra le altre cose fa tornare indietro le lancette dell’orologio della cosmologia americana di circa sessant’anni. Nella visione di Mailer il mondo è governato da un triumvirato: Dio, l’uomo e il diavolo; e Hitler, in quest’ottica, sarebbe stata la risposta del demonio a Gesù Cristo.
La scena più vivida del Castello nella foresta è la descrizione dell’osceno, turbolento e incestuoso concepimento di Hitler, con il diavolo che si trasferisce nell’anima del giovane Adolf nell’istante esatto dell’orgasmo. Potrebbe sembrare una provocazione, ma Mailer dice di fare sul serio. «In qualche modo riusciamo a capire Stalin.
Una delle sue caratteristiche era l’essere uno degli uomini più forti di tutta la Russia. Ma Hitler non era affatto un duro: è come se una serie di oscuri “talenti” gli siano stati forniti in un momento straordinario».
Norman Mailer sostieneche tali doni, senza dubbio, non possono che provenire dal demonio, una forza costantemente al lavoro. «Ogni anno ci sono mille, forse un milione di persone contaminate dal diavolo. Poi alcune danno frutti, altre non ne danno».
Hitler è stato, secondo l’autore del Castello nella foresta, uno dei punti più alti dell’operato del demonio, un fatto di cui sua madre era certa fin dall’inizio. «Mia madre aveva molta paura di Hitler» dice. «Quando ancora avevo nove anni, mia madre aveva capito, molto prima dei politici dell’epoca, che Hitler si sarebbe rivelato un disastro, un vero mostro, che avrebbe fatto fuori metà degli ebrei, se non addirittura tutti».
Norman Mailer ha pensato molto a questo libro, ma prima ha voluto cimentarsi con Il Vangelo secondo il Figlio, che racconta la storia di Cristo in prima persona.
L’idea gli è venuta in una camera d’albergo parigina quando, una notte, non riuscendo ad addormentarsi, ha preso in mano la Bibbia: «Ho pensato: “Ecco un libro davvero buffo. Ci sono frasi degne di Shakespeare, ma nel complesso è orrendo”. Poi ho pensato ancora: “Ci sono almeno cento scrittori al mondo che potrebbero fare di meglio… E io sono uno di loro”».
Così Mailer ha riscritto il Vangelo, i critici l’hanno fatto letteralmente a pezzi, e oggi lui stesso è disposto ad ammettere che sapeva «di non aver fatto un buon lavoro. Era come se non mi sentissi all’altezza del materiale che avevo di fronte» dice, mostrando, tutto sommato, un certo buon senso.
Ma con Adolf Hitler questo problema non si è posto. Innanzitutto passare del tempo con un uomo terribile non è poi così difficile, come lo scrittore ha potuto sperimentare appieno nel suo lavoro su Lee Harvey Oswald per Il racconto di Oswald.
Un mistero americano. «Sai che i personaggi non sono lì per farti contento con la loro bontà d’animo o con la loro umanità. Puoi anche scrivere di un mostro, ma nella misura in cui ti piace scrivere, ti piacerà il prodotto del tuo lavoro».
Mailer era abituato a delle vere e proprie maratone di scrittura, ma al momento riesce a scrivere per cinque o sei ore al giorno al massimo, talvolta senza interrompere per il pranzo se è concentrato sul testo.
Il libro contiene una bibliografia piuttosto estesa, ma in molte delle sue parti Mailer si è divertito a pescare nel torbido. «Si sa molto poco dell’infanzia di Hitler. Lui stesso ha cercato, nei limiti del possibile, di far sparire ogni traccia». E così Mailer ha avuto mano libera.
All’inizio della sua carriera avrebbe potuto risentire dell’ansia che un tale progetto può procurare, essendo a conoscenza del tipo di critiche cui ci si espone. Oggi dice di non averci neanche pensato. «Uno dei vantaggi della vecchiaia è che davvero non te ne frega più niente di niente. Cosa vuoi che mi possano fare, venire qua ad ammazzarmi? Accomodatevi! Fate di me un martire! Rendetemi immortale! ».
In qualità di scrittore ebreo, Mailer ha deciso di affrontare Hitler a mente fredda. «Ricordo la prima volta che sono stato in Germania, negli anni Cinquanta. Ero sempre in allerta». Ma ora non più, e alla luce degli eventi in corso crede che per gli americani ci possa essere qualcosa da imparare.
«Ho la sensazione che tutte le nazioni possano diventare dei “mostri”. Negli ultimi anni non dico che l’America lo sia diventata ma, per la prima volta nella nostra storia, credo sia un esito possibile».
In altre parole, il diavolo non è l’unico responsabile dell’ascesa di Hitler al potere: alcune circostanze l’hanno resa possibile. La parola chiave è vigilanza. «Date le condizioni terribili in cui versava la Germania dopo la prima guerra mondiale, e non parlo solo della vergogna e dell’umiliazione per aver perso la prima guerra mondiale in modo così bruciante, così totale» dice Mailer nel tratteggiare il contesto sociale dell’ascesa di Hitler «ecco… dato tutto questo, c’erano i presupposti perché un mostro potesse prendere il potere».
Tuttavia le circostanze non sono sufficienti a creare un nuovo Hitler, secondo Mailer. «Non posso certo giurarci. Quello che voglio dire è che non riusciremo a capire tutto ciò finché non torneremo a pensare che alla fine Dio e il diavolo esistono davvero!».