14 Gennaio 2019,
citando Fabio Veglia, docente straordinario che sa come accarezzare l’anima, ed ispirandomi alla sua opera “Storie di vita”, ho deciso di scrivere le mie, le mie storie di vita. In realtà non sono propriamente mie, non le vivo in prima persona, ma le ascolto, le accolgo e mi ci nutro.
Non mi è mai piaciuto leggere, non sono mai stata una grande lettrice, seppur conosca la grande ricchezza che può derivarne: Umberto Eco diceva che “Chi non legge avrà vissuto una vita sola: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni”. Logicamente non posso dire di non aver mai letto, ma posso sinceramente ammettere, seppur con un filo di vergogna, di averlo fatto spesso per dovere scolastico e non per diletto personale. Eppure esiste una cosa che mi piace fare e che trovo ancora più arricchente della lettura: ascoltare. Ascoltare le storie di altri, che poi diventano un po’ mie. Le mie storie di vita. E iniziando questo percorso da volontaria Anapaca, ho deciso di scrivere le storie di vita di persone incontrate all’Istituto di Candiolo. Sono storie di vita proprio perché chi si trova di fronte alla malattia e all’eventualità della morte, conosce meglio di chiunque altro quale sia il valore dell’esistenza. E Anna e la sua storia di vita ne sono un vivido emblema.
Anna
In psicologia si tende a cambiare i nomi delle persone citate per proteggerne la privacy. Di Anna non modificherò il nome. Anna è Anna e questa è la sua storia di vita.
Anna ha iniziato a frequentare l’Istituto 13 anni fa: le era stato diagnosticato un cancro al seno, cancro che è stato debellato, seppur non sia corretto parlare di guarigione perché come si sa e come spesso si sente dire in ambiente oncologico: di cancro non si guarisce. Nel 2018 le diagnosticano ancora un cancro, questa volta al fegato e al colon: Anna viene nuovamente operata, un intervento di 12 ore in piedi, per far sì che i liquidi fluiscano e non inficino l’operazione. Anna lamenta che da allora la schiena non le dà tregua, la sente accartocciata.
Anna è sola. Ha perso il marito e da 8 anni non vede e non sente il figlio. Non ha più una famiglia e proprio quando parla di questa sua solitudine gli occhi le diventano leggermente lucidi. Dice di essere spesso invitata alle ricorrenze, come il Natale, da persone a lei care, ma la mancanza di quel legame di sangue, il fatto che non rappresentino la sua famiglia, la fanno sentire fuori posto e anzi evidenziano ancor di più quello che a lei manca. Anna è grintosa, forte, coraggiosa e positiva perché sì, è proprio l’ottimismo, il fatto di vedere il lato positivo di ogni cosa che la contraddistinguono. La vita secondo lei va vissuta così, altrimenti non ha senso definirla tale. Dice “ancora non sono riusciti a sotterrarmi”.
Anna da quando ha perso il marito ha un compagno fisso che non l’abbandona mai, neppure nei momenti più duri; un compagno che accoglie quello di più intimo e personale che lei non riesce a tenere dentro, perché fa male; un compagno su cui lei sa di poter contare e che l’aiuta ad elaborare le proprie sensazioni: si tratta della scrittura. Anna scrive, narra la sua storia di vita e da quando si reca a Candiolo, ha iniziato a raccontare anche le storie di vita degli altri: mentre aspetta nella sala d’attesa del day hospital, osserva le espressioni dei volti di chi le sta intorno, sa riconoscere chi è lì per la prima volta, lo si vede da quell’espressione caratteristica di incertezza e paura mi dice.
Anna quando deve venire a Candiolo dice che si sta recando alla Beauty Farm: conosce l’Istituto a menadito così come il personale che vi lavora. È a casa. È meno sola.
Anna con i suoi occhi pieni di vita ha un progetto: andare in Andalusia e concludere quel giro della Spagna che aveva intrapreso ed era stata costretta ad interrompere proprio a causa della nuova diagnosi di cancro. Non mi resta che augurarle di riuscirci e di ringraziarla perché la sua storia di vita ha un valore inestimabile.
Ad Anna, la scrittrice di storie di vita, grazie.
Beatrice Bianciotto, 14 gennaio 2019