So cucinare due uova al padellino e cuocermi una pasta. La mia capacità culinaria non va oltre. Così quando incontrai Lucia (il nome è inventato) mi trovai non poco in difficoltà nel sostenere un dialogo per lo più imperniato sulla sua grande passione per la cucina. Lei amava molto cucinare, e lo faceva non tanto per il culto del cibo in sé quanto per poter dispensare piacere nella sua famiglia. Doveva essere un gran bel modello di presenza materna in casa, imponente e determinata ma allo stesso tempo accogliente e dolce. Me la immaginavo nella sua cucina mentre preparava la tavola e aggiustava con cura la posizione delle posate come fosse una coccola per la persona che vi si sarebbe seduta poco dopo. Conosceva ricette ricercate e trucchi del mestiere, tempi di cottura, dosaggi e tant’altre misteriose alchimie. Mentre parlava quasi si immaginavano i profumi aromatici di arrosto o dolci alla vaniglia.
Ma l’odore della sua camera era asettico e il lungo isolamento nel quale era costretta le faceva desiderare qualunque possibile contatto sensoriale con l’esterno. “Ho voglia di sentire la puzza di smog” mi disse un giorno. E ancora: “almeno i carcerati hanno un’ora d’aria ogni tanto…”. Il suo sistema immunitario malato la costringeva ad una camera d’ospedale con le finestre sigillate, ove le visite erano limitate e anche il contatto visivo con ospiti e personale era osteggiato dalle mascherine sul viso e da tutte le altre protezioni che avvolgevano coloro che la avvicinano.
Tuttavia la signora Lucia aveva una ricetta anche per il suo buonumore. Che non perdeva mai. La quantità di zucchero e l’impasto sono importanti per fare dei buoni dolci. Le meringhe per esempio….
Sentendo parlare di meringhe mi ritornò alla mente un episodio della mia giovinezza quando decisi che da grande avrei fatto il pasticcere. Nonostante i capelli dritti di mia madre, diedi mano al forno e iniziai proprio a fare le meringhe. Uno, due, …, dieci tentativi tutti senza successo. Da quel forno non veniva fuori nulla di più che palline mollicce prive di alcuna attrattiva. Ecco forse perché poi ho fatto un altro mestiere ed ho perso ogni passione per la cucina.
Lo raccontai a Lucia e ne nacque una animata discussione, volle conoscere nei minimi particolari le fasi della mia preparazione e corresse ad uno ad uno tutti i miei errori. E la cottura deve durare almeno quattro ore. Le meringhe non devono cuocere, devono essiccare.
“Ho capito, mi vien quasi voglia di riprovarci” le dissi “sa signora Lucia, oggi i miei figli non sono a casa e ho l’intero pomeriggio libero, quasi quasi mi dedico alla sua ricetta”.
Seguì qualche attimo di silenzio, lei guardò fuori dalla finestra, poi rivolse lo sguardo verso di me, i suoi occhi erano densi di esperienze che non conoscevo. Per qualche istante ancora fu solo lei a parlare con il suo profondo silenzio. “Le meringhe possono aspettare” mi disse alla fine “se ha il pomeriggio libero telefoni ad un amico che non vede da tanto tempo oppure vada a trovare sua mamma”.
Quel giorno uscii dall’ospedale con la sensazione di essere ricco, molto ricco. Entrai in uno di quei splendidi negozi che assomigliano alle vecchie drogherie con semi oleosi, frutta secca e ogni sorta di cereali. Ordinai tre etti di prugne secche. Mia mamma va matta per le prugne secche, quelle col nocciolo, che sono le più gustose.
Sergio Forno – 11 luglio 2018